Qual è la tua professione?
Sono designer e socio fondatore di Ubis, un gruppo di lavoro specializzato in interior e industrial design, exhibition e museum design, visual design, multimedia design, web design, photo e video production.
Ubis nasce a Treviso nel 1986 assieme a mio padre Umberto Facchini, come attività dedicata al design industriale e parallela al suo studio di architettura Bandiera & Facchini.
In più di trent’anni la società ha cambiato diverse facce, dedicandosi in parallelo al design e alla comunicazione.
Oggi Ubis è un design network di professionisti caratterizzati da una forte identità ed un importante background che operano in progetti comuni.
Come ti sei avvicinato al design?
Sin da bambino ho respirato in casa un’aria stimolante legata al mondo del design e della progettazione. Mio padre era un architetto specializzato in urbanistica e formatosi a Venezia con la guida di docenti quali Bruno Zevi, Ignazio Gardella, Carlo Scarpa, Franco Albini. Per trent’anni si è dedicato inoltre all’industrial design, in particolare ai mobili per l’ufficio. La mia scelta universitaria di iscrivermi ad architettura, perciò, è stata molto naturale: non ho mai avuto dubbi su che cosa avrei fatto nella mia vita. Anche se mi sono fermato a 28 esami su 30… Parallelamente all’università ho iniziato subito a lavorare dedicandomi all’attività di grafica, design, progettazione e comunicazione. In questo modo è nato il mio vero assetto professionale: lavorare in ambiti diversi che si contaminano tra di loro.
Oggi mi occupo da una parte di progettazione in industrial e interior design e dall’altra di allestimenti in campo museale.
Quando hai conosciuto l’ADI?
Ho iniziato a frequentare l’Associazione attraverso mio padre, tra i primi soci iscritti alla delegazione Veneto e Trentino-Alto Adige (allora ADI Triveneto). Successivamente l’ADI è entrata nella mia vita diventando parte di me, anche se inizialmente vedevo l’associazione, in particolar modo a livello nazionale, come una realtà distante alla quale non sentivo realmente di appartenere. Ho iniziato ad essere un socio attivo negli ultimi anni assieme al direttivo guidato dalla past president Silvia Sandini.
Quali sono le tue aspettative?
L’Associazione deve diventare un forte punto di riferimento professionale. L’ADI non deve essere un mero erogatore di servizi ma un acceleratore connettivo in grado di accompagnare i soci nel creare relazioni ed opportunità da condividere per diffondere la cultura del design. Una delle tematiche che vorrei portare avanti assieme al direttivo è definire quali sono i benefit che possiamo offrire agli iscritti. Mi piacerebbe capire in particolare in quale modo possiamo coinvolgere i giovani, l’anello mancante in ADI. Credo che l’associazione possa rappresentare un fondamentale punto di riferimento per la crescita professionale dei ragazzi: io stesso sono cresciuto assieme a ADI.
Qual è il tuo ruolo all’interno del direttivo dell’ADI VTAA?
Il mio ruolo è ancora in fase di costruzione. Per vent’anni sono stato una presenza passiva in ADI: leggevo, mi informavo e partecipavo alle assemblee.
Negli ultimi cinque anni, invece, assieme alla past president Silvia Sandini, l’Associazione è diventata un’entità importante per me: il direttivo, infatti, è un gruppo di lavoro sempre più partecipativo e intento a definire la propria identità, nel quale sento di poter portare un contributo attivo. Abbiamo la responsabilità di far crescere e di far conoscere l’ADI, facendo in modo che sappia evolversi.
Consideri l’ADI un mezzo di interazione culturale e multidisciplinare?
L’Associazione dev’essere un collettore di necessità ed esperienze diverse legate, direttamente o indirettamente, al mondo della professione del designer.
Ma chi è il designer? Si tratta di una delle professioni più articolate e meno definite che esista, inoltre, il suo non appartenere ad un ordine professionale aiuta a confondere la sua definizione.
Oggi non possediamo ancora una massa critica sufficientemente strutturata capace di alimentare una naturale permeazione e collaborazione bidirezionale tra le parti, ovvero le aziende, le scuole, le istituzioni ed i professionisti.
È necessario individuare i punti chiave da ampliare e sviluppare per creare un forte dialogo tra le parti e permettere all’Associazione di autoalimentarsi. Dobbiamo dare all’ADI una rinnovata energia per creare una maggiore partecipazione, trasversale e dinamica, evitando che si congeli in un ambito autoreferenziale.
Luca Facchini
Consigliere ADI VTAA
Intervista a cura di Alice Debianchi